Quali misure e provvedimenti per ridurre le emissioni degli edifici in Italia?
Il 28 maggio 2024 è entrato in vigore la cosiddetta Direttiva Case Green, che mira alla riduzione delle emissioni di CO2 del parco immobiliare europeo. Cerchiamo di fare il punto della situazione per capire quali sono le misure che dovranno essere messe in atto dallo Stato Italiano entro il 2026.
Secondo le stime presentate dalla Commissione Europea, un terzo delle emissioni di CO2 in Europa è causato del consumo energetico di più di 100 milioni di edifici. Si tratta, infatti, di un parco immobiliare inefficiente dal punto di vista energetico, anche a causa dell’età degli edifici e del basso tasso medio annuo di rinnovamento energetico (solo l’1%).
L’Energy Performance of Building Directive, approvata lo scorso marzo dal Parlamento Europeo, delinea l’essenzialità della riqualificazione e del miglioramento dell’efficienza dell’intero patrimonio edilizio dell’UE entro il 2050.
Cosa significa Case Green?
Il termine “case green” identifica edifici - sia di tipo residenziale che non residenziale - a emissioni zero, cioè quelli con una domanda molto bassa di energia e che producono emissioni di carbonio da combustibili fossili in loco pari a zero (o comunque molto basse).
In sostanza, la fonte di energia primaria di questo tipo di edifici viene prodotta tramite fonti rinnovabili, sia presso l’edificio stesso, ad esempio con un impianto fotovoltaico, che nelle vicinanze, cioè condivisa in una CER.
A questo scopo, gli edifici di nuova realizzazione devono essere progettati per ottimizzare la produzione energetica tramite l’installazione di sistemi di produzione di energia elettrica, mentre gli edifici già esistenti, come detto, dovranno subire un processo di riqualificazione.
Obbiettivi e provvedimenti della Direttiva
La Direttiva prevede, prima di tutto, la definizione di una nuova metodologia per il calcolo della prestazione energetica degli edifici, per avere una classificazione più coerente e coesa all’intero di tutto il territorio comunitario. In secondo luogo, sono stati definiti obbiettivi ben distinti in base al tipo di edificio.
Per gli edifici residenziali, l’obbiettivo è ridurre il consumo medio di energia del 16% entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035. Almeno il 55% del risparmio energetico deve essere conseguenza della ristrutturazione di almeno il 43% degli edifici con le prestazioni energetiche peggiori. Per gli edifici non residenziali, la Direttiva prevede una graduale eliminazione degli edifici con le peggiori prestazioni tramite la ristrutturazione di almeno il 16% di questi edifici entro il 2030 e almeno il 26% entro il 2033.
Introdotto, quindi, un nuovo calendario con gli obblighi di installazione di impianti fotovoltaici per gli edifici con superficie utile superiore a 250mq. Nel testo della Direttiva sono indicate date precise sulla base della tipologia e della superficie utile degli edifici, ma, in linea generale, tra il 2026 e il 2030 questi obblighi si estenderanno a tutti gli edifici, sia esistenti che di nuova realizzazione.
Tra gli altri provvedimenti dell’EPBD, menzioniamo il divieto di incentivazione per l’installazione delle caldaie che utilizzano i combustibili fossili con lo scopo di eliminare completamente questi impianti entro il 2040. Concessi, invece, gli incentivi per i sistemi di riscaldamento ibridi che combinano le caldaie con le pompe di calore o il solare termico.
Presenti anche obblighi di realizzazione di colonnine di ricarica per auto elettriche all’interno o accanto agli edifici, compresi precablaggi e parcheggi per le biciclette elettriche. Anche in questo caso, gli obblighi sono differenti tra edifici residenziali e non residenziali. In linea generale, la quantità di punti di ricarica viene determinata in base al numero di posti auto della costruzione.
Mentre starà agli Stati membri determinare gli immobili esentati dagli obblighi imposti dalla Direttiva, gli esclusi previsti sono: gli edifici vincolati e protetti, gli immobili storici, gli edifici temporanei, le chiese, le abitazioni indipendenti con superficie inferiore a 50mq, le case vacanze occupate per meno di 4 mesi l’anno, e l’edilizia sociale qualora gli affitti aumentino in modo sproporzionato rispetto ai risparmi conseguibili.
Previsto, in via facoltativa, anche un indicatore che valuti la Smart readiness degli edifici, cioè la predisposizione all’integrazione di tecnologie intelligenti che permettano di adattare il funzionamento degli apparecchi secondo le esigenze degli utilizzatori.
Quanto costerà e chi pagherà?
Secondo i dati presentati da Istat, la maggior parte degli edifici residenziali in Italia si ritrova nella due classi energetiche peggiori. In particolare, degli edifici per cui è stata effettuata una perizia di valutazione professionale, più del 50% ricade nelle classi energetiche G e F. Non stupisce, quindi, che si stimi in quasi 5 milioni il numero di edifici residenziali su cui è necessario intervenire per rispettare gli obblighi previsti dalla Direttiva.
Secondo le stime di alcuni esperti di settore, quindi, fino a 7 famiglie su 10 potrebbero essere costrette a ristrutturare casa. Un numero tutt’altro che trascurabile, che potrebbe tradursi nella necessità di fornire in tutto finanziamenti a sostegno delle famiglie compresi tra i 100 e i 300 miliardi di euro prima del 2030. Si tratta, tuttavia, di stime che non tengono conto dei molti edifici non residenziali e pubblici che dovranno a loro volta adeguarsi per rispettare i limiti imposti dalla Direttiva.
Determinare una cifra precisa, quindi, è al momento molto complicato, soprattutto perché non sono ancora stati definiti in modo preciso a livello nazionale quali sono gli edifici esenti dal rispetto dei nuovi standard.
Le forme di sostegno ammesse dalla Direttiva sono gli sconti diretti in fattura per i cittadini, oltre alle detrazioni e ai crediti fiscali; non sono, tuttavia, state stanziate nuove risorse da parte della Commissione Europea. A livello nazionale, nonostante il testo aggiornato del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima sia stato presentato alla Commissione Europea il 1° luglio, l’unica conferma che abbiamo ad oggi è la necessità di una riforma degli incentivi fiscali.
Lo scopo di tale riforma, come precisato dal PNIEC, è di determinare la priorità degli interventi e i livelli di assistenza necessari in base al grado di miglioramento della prestazione, di riduzione dei consumi e di incremento dell’uso delle fonti rinnovabili. Si tratta, comunque, di indicazioni generiche che non permettono di fare previsioni concrete.
Insomma, sono molte ancora le incognite, comprese eventuali sanzioni per coloro che non adeguano i loro immobili. Anche in questo caso, sarà il singolo Stato a determinare se e in quale misura, sanzionare coloro che non raggiungono i nuovi standard entro i limiti stabiliti.
Il testo della Direttiva, che originariamente era molto più definito e restrittivo, è stato infatti modificato in modo sostanziale prima dell’approvazione. Tra le più importanti modifiche vediamo non solo la presenza di obbiettivi intermedi meno stringenti e termini più estesi, ma anche l’eliminazione del divieto di vendita o affitto degli immobili non conformi. Prevista invece, sempre su iniziativa dei singoli Stati, la perdita di valore degli immobili non conformi.
In questo clima di compromesso e incertezza, sta alle Istituzioni nazionali, con la cooperazione degli operatori di settore e delle associazioni ambientaliste e dei consumatori, mettere a punto, entro il 2026, le politiche di incentivazione necessarie a una efficace e tempestiva riqualificazione edilizia.
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