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Vista aerea della foresta
Immagine del redattoreEyCO - Energize your COmmunity

L'impatto della sabbia sul fotovoltaico

Effetti e conseguenze di un fenomeno sempre più diffuso

Da qualche anno i fenomeni estremi che portano in Europa grandi quantità di sabbia del Sahara sono diventati più frequenti, più intensi e più duraturi. Analizziamo questi eventi di polvere e quali sono le conseguenze sull’efficienza degli impianti fotovoltaici.   


Il problema dell'irraggiamento

Vi sarà capitato in passato di vedere al telegiornale immagini di cieli arancioni durante le tempeste di sabbia nelle città del Medio Oriente e dell’Africa Settentrionale. Si tratta di un fenomeno comune nelle zone desertiche, ma che ha raggiunto anche l’Europa, in particolare nel periodo estivo.


Purtroppo questi eventi stanno diventando più comuni e duraturi. Proprio lo scorso aprile, la Grecia si è svegliata con il sole oscurato da una nube di sabbia in alta quota. Questo esempio è cruciale per comprendere la prima problematica causata dagli eventi di polvere: la diminuzione dell’irraggiamento solare.


La classificazione di questi fenomeni si basa proprio sulla quantità di luce solare che viene assorbita e dispersa dalle particelle solide contenute nell’atmosfera giornalmente in una determinata area. Se il valore medio giornaliero per l’area viene superato per almeno tre giorni consecutivi, si può considerare un evento di polvere e non una semplice tempesta di sabbia passeggera.


In parole povere, a determinare la gravità dell’evento sono la quantità di polvere e la durata nel tempo. Una forte concentrazione di polvere per più giorni consecutivi, può portare a una seria diminuzione dell’irradiamento solare. Secondo le osservazioni di uno studio pubblicato dall’EGU (European Geosciences Union), nei mesi tra febbraio e marzo per il periodo 2020-2022, la frequenza, l’intensità e la durata degli eventi sono state anomale e preoccupati, soprattutto perché la stagione invernale dovrebbe essere la meno intaccata da questo tipo di fenomeni.


L’estensione di questi eventi per l’intero periodo diurno può intaccare la produzione di energia giornaliera fino al 40%, una percentuale che se può avere un grosso impatto sugli impianti solari domestici, ha effetti disastrosi per i grandi parchi fotovoltaici.


Se è vero che l’impatto della diminuzione dell’irradiamento sul finire dell’inverno sarà minore rispetto agli eventi estremi a inizio estate, resta un fattore che può far rivalutare a molti la realizzazione di impianti fotovoltaico in zone in cui questi eventi sono più ricorrenti.


Si tratta infatti di uno dei maggiori fattori per cui, nonostante l’esposizione ottimale, la realizzazione di impianti fotovoltaici nelle zone desertiche non si è ancora diffusa.


Il problema dello sporcamento

Il secondo fattore deterrente si può trovare nelle conseguenze lasciate dal passaggio di queste tempeste: i residui di sabbia.


Nella maggior parte dei casi gli eventi di polvere sono trasportati da anticicloni, cioè masse di aria calda che portano alte temperature e clima sereno per molti giorni. Nel periodo invernale, invece, si tratta di solito di raffiche di tipo subtropicale, che portano, oltre a temperature superiori alla norma, anche foschia, rovesci e temporali.


È importante menzionare il meteo perché quando si parla di eventi di sabbia il miglior alleato e il peggior nemico dei pannelli sono proprio le precipitazioni. Di norma, una giornata di pioggia aiuta a ripulire in modo naturale i pannelli dai residui di sporco asciutto che si sono accumulati nel tempo. Tuttavia, quando le nubi ad alta quota sono cariche della sabbia trasportata dal Nord Africa, la soluzione diventa il problema.


Vi sarà, infatti, capitato di notare residui di sabbia sulle vostre auto dopo un acquazzone. La stessa patina opaca si deposita sui pannelli, diminuendo la capacità di assorbimento dei raggi solari e di produzione energetica.


La soluzione migliore per la rimozione di questi residui è la pulizia periodica dei pannelli.


In generale, quando si parla di grandi parchi fotovoltaici la pulizia avviene già con una certa frequenza. L’impatto dello sporcamento perciò è inferiore sulla producibilità annuale dei pannelli rispetto alla diminuzione dell’irraggiamento.


Tuttavia, un eccesso di pulizia può comportare un deterioramento più veloce dei pannelli, e può diventare dispendioso sia in manodopera che in acqua. Quest’ultima in particolare è un bene preziosissimo non solo nelle aree desertiche, ma anche nel nostro paese nei periodi di siccità, sempre più frequenti anche nei mesi invernali.


Se i residui vengono trascurati troppo a lungo, però, c’è il rischio che si cristallizzino sulla superficie dei pannelli, soprattutto nelle aree in cui la brina notturna deposita la polvere nelle prime ore della giornata. Tutto ciò rende la pulizia più dispendiosa e complicata, e aumenta il rischio di guasti e rotture soprattutto per gli impianti domestici.


Per questo motivo, in tutto il mondo si stanno cercando soluzioni alternative che permettano di facilitare la pulizia o, addirittura, prevenire lo sporcamento dei pannelli.


La ricerca al soccorso

Per l’irraggiamento, la chiave è la raccolta dei dati metereologici per avere un quadro più esaustivo sul peso del fenomeno in Italia. Sulla base dei dati raccolti, infatti, si possono fare migliori valutazioni per la realizzazione di accumuli elettrochimici dell’energia prodotta che contrastino le dispersioni.


Per lo sporcamento, con un’ottica più rivolta alla prevenzione, oltre all’utilizzo di materiali autopulenti per la realizzazione dei pannelli, in Italia si stanno testando gli ASC. Si tratta di nano materiali a base alcolica dalle proprietà idrofobiche da nebulizzare sulla superficie dei pannelli, e creano una sottilissima pellicola protettiva che è in grado di repellere l’acqua e di disgregare lo sporco.


Non è, purtroppo una soluzione perfetta. Secondo alcune ricerche sull’efficienza del metodo, questi rivestimenti non hanno sempre apportato vantaggi a lungo termine sulle performance dei pannelli. In alcuni casi, i materiali idrofobici utilizzati diventano l’aggrappante che permette alla sabbia di incrostarsi.


Già nel 2010, un team di progettisti presso la KAUST, un’Università dell’Arabia Saudita, ha sviluppato una tecnologia che consente di eseguire la pulizia a secco, in modo automatizzato e con cadenza giornaliera, i residui di sabbia dagli impianti fotovoltaici. Questo metodo, chiamato NOMADD, consiste in un robot su rotaie dotato di spazzole che scorrono lungo l’intera fila di pannelli.


Anche in questo caso, non è una soluzione perfetta. Al fronte di una riduzione dell’uso di acqua e personale per effettuare la pulizia, infatti, sono previsti interventi di manutenzione delle spazzole, che devono essere cambiate abbastanza frequentemente. Inoltre, si tratta di un metodo che utilizza l’energia prodotta dal pannello stesso e che funziona al meglio contri i residui asciutti.


Tuttavia, nel corso degli anni sono stati molti i passi avanti per quanto riguarda l’automatizzazione della pulizia degli impianti fotovoltaici. I robot sono diventati più piccoli e più efficienti, e possono occuparsi sia della pulizia a secco che utilizzare acqua e detergenti.    

Per lo sporcamento, la soluzione migliore resta la ricerca di nuovi elementi di autodiagnosi del livello di sporco presente sui pannelli, in modo da effettuare interventi di pulizia in modo tempestivo sulla base degli accumuli di detriti.


Per maggiori informazioni o per una prima consulenza, compila il FORM oppure scrivici all'indirizzo mail info@eycocer.it.

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