Tecnologia e investimenti per un futuro sostenibile
Negli ultimi anni il ruolo dell’idrogeno verde nella decarbonizzazione è diventato sempre più centrale, soprattutto nella prospettiva di rispettare i limiti determinati dagli Accordi di Parigi. Ma cos’è l’idrogeno verde? E perché la ricerca e gli investimenti in questo settore sono così importanti?
Cos'è l'idrogeno verde?
L’idrogeno è un gas leggero, incolore e inodore. Si tratta dell’elemento chimico più abbondante nell’universo. Non trovandosi, però, in natura allo stato puro, è necessario un processo di trasformazione che lo estragga da altri materiali che lo contengono.
Possiamo dividere l’idrogeno in due sottocategorie sulla base proprio di questo processo: l’idrogeno tradizionale, di cui fanno parte l’idrogeno grigio e blu, e l’idrogeno sostenibile, cioè l’idrogeno verde.
Ad oggi, la quasi totalità dell’idrogeno prodotto e immesso sul mercato mondiale è grigio, e viene ricavato dai combustibili fossili come il metano. L’idrogeno blu viene prodotto in maniera simile, ma l’anidride carbonica rilasciata dal processo di trasformazione viene catturata e riutilizzata nel settore chimico-industriale. Questo metodo, purtroppo, non garantisce ancora il raggiungimento delle emissioni zero.
La produzione dell’idrogeno verde avviene, invece, tramite un processo di elettrolisi dell’acqua in speciali celle alimentate da fonti rinnovabili, come l’energia solare, eolica o idroelettrica. In termini estremamente semplificati, gli elettrolizzatori separano le molecole dell’acqua in due componenti: l’idrogeno e l’ossigeno. L’unico sottoprodotto derivato da questo tipo di processo è quindi il vapore acqueo.
Pro e contro dell'idrogeno verde
Consideriamo prima di tutto che l’idrogeno ha un’alta densità energetica e un’alta efficienza di conversione. In termini di densità energetica, 1kg di idrogeno verde produce la stessa quantità di energia che si ottiene da 2,8kg di benzina. Per l’efficienza, invece, la conversione della benzina e del gasolio in energia motrice varia tra il 20 e il 35%, mentre quella dell’idrogeno verde può arrivare fino al 60% circa. Si tratta, quindi, di un vettore energetico che ha il potenziale di competere con i sottoprodotti del petrolio non solo nel settore dell’industria e del riscaldamento, ma anche della mobilità.
L’utilizzo dell’idrogeno, inoltre, non intacca gli sforzi verso l’elettrificazione. Come detto, gli elettrolizzatori che producono l’idrogeno verde sono alimentati da energia prodotta da fonti rinnovabili. È perciò possibile trasformare i surplus di energia derivante dalle fonti rinnovabili in idrogeno verde, che verrà immagazzinato e, successivamente, ritrasformato in energia. Un ottimo sistema per sopperire al fabbisogno energetico nei periodi dell’anno in cui la produzione di energia rinnovabile non è sufficiente.
Si tratta perciò di un circolo virtuoso, in cui la maggior produzione di energia rinnovabile (e di conseguenza un abbassamento del prezzo dell’energia stessa) può evolversi in costi inferiori per la produzione dell’idrogeno verde.
Ad oggi, infatti, il più grande ostacolo per l’idrogeno verde sono proprio i costi di produzione. La produzione dell’idrogeno grigio ha costi di produzione inferiori rispetto agli altri tipi di idrogeno, ma rilascia grandi quantità di CO2 nell’ambiente. A intaccare i costi di produzione dell’idrogeno blu è il processo di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica. Soffre del problema dello stoccaggio anche l’idrogeno verde, a cui si aggiungono anche i costi elevati dei materiali necessari alla realizzazione degli impianti di produzione.
Sebbene il costo degli elettrolizzatori sia dimezzato negli ultimi anni, secondo il report Making the Hydrogen Economy Possible dell’Energy Transitions Commission (ETC) è necessario un ulteriore calo pari ad almeno il 40% dei costi per rendere competitivi gli investimenti in questo settore.
Non si può non considerare anche il rischio legato all’adozione precoce. Infatti, ogni nuova unità realizzata produce idrogeno a un costo più basso rispetto alle unità preesistenti, rendendo gli early adopter più vulnerabili alle fluttuazioni di mercato.
Purtroppo non ci sono prospettive certe neppure sulla domanda futura. Al momento non esistono né un mercato strutturato né le infrastrutture che permettono di considerare in modo appropriato la fattibilità di distribuzione e stoccaggio su larga scala rispetto ai combustibili fossili.
Sono queste le ragioni che più stanno rallentando la diffusione dell’idrogeno verde, che, sempre secondo il report dell’ETC, dovrebbe raggiungere 50 milioni di tonnellate entro il 2030 per rispettare i limiti posti dagli Accordi di Parigi sul riscaldamento globale.
Le chiavi per il raggiungimento dell’obbiettivo sono la ricerca tecnologica per abbassare i costi di produzione, e le politiche pubbliche per velocizzare non solo lo sviluppo delle infrastrutture, ma anche il continuo passaggio all’elettrificazione, che, come detto, è essenziale per la produzione dell’idrogeno verde.
Ricerca, innovazione e investimenti
Un primo passo verso l’uso dell’idrogeno verde sono le innovazioni apportate alla tecnologia di elettroriduzione dell’anidride carbonica. Secondo una ricerca effettuata dal Dipartimento di Scienza Applicata e Tecnologia del Politecnico di Torino, è possibile effettuare il processo di elettrolisi anche con metalli economici e non particolarmente rari, riducendo notevolmente il costo di realizzazione degli impianti.
Anche una ricerca dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova si è concentrata sul costo degli elettrolizzatori. In questo caso è stato analizzato nello specifico il potenziale del rutenio, un sottoprodotto dell’estrazione del platino. Oltre ad avere un prezzo molto più contenuto, la quantità di rutenio necessaria per la costruzione degli impianti sarebbe pari a un decimo rispetto al platino o all’iridio usati ad oggi.
Come affermato da Massimiliano Della Pietra, ricercatore del Dipartimento Tecnologie Energetiche e Fonti Rinnovabili ENEA, la ricerca deve interessarsi anche all’impiego dell’idrogeno come carburante alternativo per i veicoli.
In questo senso, in Val Camonica è già all’attivo il progetto H2iseO Hydrogen Valley, che prevede l’utilizzo dell’idrogeno verde nella mobilità pubblica, in particolare lungo la linea ferroviaria non elettrificata Brescia-Iseo-Edolo. I primi elettrotreni alimentati a idrogeno entreranno in funzione entro settembre del prossimo anno, e l’intera flotta dovrebbe esser sostituita entro lo stesso mese del 2026. Si tratta di un progetto importantissimo se si considera che un quarto della linea ferroviaria italiana non è elettrificata e che al giorno sono circa 1.250 i treni a percorrere questi binari.
L’Italia, quindi, vanta una presenza in tutti gli aspetti della filiera: produzione, logistica, trasporto, stoccaggio e perfino uso finale. Ci sono tutte le carte in regola per fare la differenza. Mancano soltanto strategie e regolamenti sull’idrogeno ben definiti a livello nazionale che supportino la coesione e il progresso nel settore.
L’importanza di creare un sistema specializzato che si occupi dell’intera filiera dell’idrogeno è stata riconosciuta anche dalle istituzioni europee. La Commissione Europea ha espresso l’ambizione di realizzare mercati aperti e competitivi per l’idrogeno verde in ben due occasioni: con l’Hydrogen Strategy nel 2020, e, nello scorso anno, nel contesto del REPowerEU Plan.
Come conseguenze dirette di questi provvedimenti, sono stati approvati più di 900 progetti per la produzione dell’idrogeno pulito in Europa, e sono già stati stanziati tramite la prima asta della Banca Europea dell’Idrogeno 720 milioni di euro per la realizzazione di elettrolizzatori che producano 1,5 Gigawatt di energia.
Per quanto riguarda l’Italia nello specifico, quest’anno il MASE ha confermato investimenti pari a 160 milioni di euro a sostegno della ricerca e dello sviluppo tecnologico nel campo. Approvati anche altri 500 milioni di euro per la creazione di distretti di produzione dell’idrogeno in aree industriali dismesse, con l’obiettivo di raggiungere una capacità produttiva complessiva tra i 10 e i 50 Megawatt entro il 2026.
Insomma, le potenzialità dell’idrogeno verde sono molteplici e si spera che la sua versatilità sia il fattore determinante che porterà alla sua diffusione come alternativa ai carburanti fossili accanto alle altre fonti rinnovabili.
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